In nove. Arrivo alle 21. Antipasti, sette portate più o meno una ogni 5 minuti. Dici vabbè, osteria tranquilla di nome e di fatto. Ore 22, dei primi non si sa nulla. Ore 22 e 20: vado dal proprietario a chiedere, ne escono immediatamente tre. Ok, dico, arriveranno gli altri. No. Passano altri venti minuti e vado a far presente il problema. Lo ammetto, seccato ma non aggressivo. Erano circa le 22 e 35. Il signore in questione, un brizzolato sui sessanta, mi risponde ‘c’è stAto un disguido’. Ma è il tono che non va. Forse per eccesso di timidezza, forse per incapacità di gestire un ‘senso di colpa’, la sindrome è subito quella tecnico-sbrigativa. Vabbè, torno a tavola. Dopo venti minuti escono altri due primi (dettaglio quantitativo, di non più di 60 grammi a testa di pasta). Il nervosismo monta. Fino al finale. Sono le 23. DUE ore dopo. Ci alziamo e paghiamo il conto senza aver ricevuto le ultime due paste. Senza uno ‘scusate’, col complessatissimo e maleducato patron a testa china, fintamente intento a operazioni di calcolo. Neanche un arrivederci. Pessimo. Estivo. Inadeguato.